Rivista di Letteratura, Alpinismo e Arti Visive |
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di Giuseppe "Popi" Miotti | |
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«Hey, perché ti preoccupi di loro? Lascia perdere queste cretinate. Se a loro va bene così, a te va bene così. Non pensare di fare sempre le cose con giudizio: preoccupati piuttosto di stare bene, di bere bene, e di scalare finché il cuore ti reggerà».
Detto questo, il vecchio “Batso” ritorna nelle nostre
menti e nei nostri cuori affaticati di montagna, di passioni, di amori e
malumori... di sogni; monumento ribelle contro i benpensanti, le morali e i
moralisti, contro tutti i buoni propositi, le chiese e le parrocchie,
contro i farisei ed i conflitti d'interesse di tasca e di spirito. Stella
fissa per chi non vuole mollare e crede che ci sia sempre una via d'uscita
anche nella situazione più disperata. «Aah! Che dire! Le cose stanno così! E poi, si può sapere cosa stai farneticando? Che si fottano tutti! Guardali: sono anni che eiaculano ettolitri di inchiostro sulla carta, e adesso su internet, con le loro morali di scalatori. Hanno vomitato sentenze su quello che si deve fare e sul modo in cui lo si può fare. Come dei santoni vogliono imporre le loro leggi; e siccome sono le loro, si sentono anche gli unici in diritto di violarle. E perché mi rompi le scatole domandandomi pareri? Devi proprio chiedere ad altri quello che è giusto e quello che non è giusto? Hey, ragiona con la tua testa!» Però, Warren, devi ammettere che in questo ambiente non ti ci ritrovavi neppure tu. «Okay, Okay! Ma quando voi avete cominciato, io
avevo già finito. Quindi non c'entro, non voglio entrarci proprio. Perciò,
se hai finito di scocciare, dammi un bicchiere di vino. Beh, allora, Warren, vuoi raccontarmi un po' di te? «Qui va già meglio, va già meglio! Sono nato nel giugno del 1924, e sono figlio della Grande Depressione. I miei dovettero sudare le proverbiali sette camice per allevarmi dignitosamente in quegli anni terribili, e sono certo che il mio caratteraccio e la mia forza derivano da un miscuglio di geni e di dure esperienze fatte in quegli anni. Anche la mia voglia di emergere viene da lì. Ho sempre avuto un grande rispetto per quello che i miei genitori hanno fatto per me. Così, appena ho potuto, ho comperato una casa per mia madre e l'ho voluta mantenere finché ha campato. Però devo ammetterlo, non sono mai stato un grande lavoratore! Anzi, non escludo di essere diventato uno scalatore quando capii che, come operaio stradale, ero una frana. Il lavoro serviva solo per ottenere l'indipendenza che desideravo: mi serviva per guadagnare quel tanto che bastava; ma il mio vero lavoro era quello che facevo sulla roccia, appena potevo scappare da tutto e da tutti». Ah! Il tuo caratteraccio, la tua leggendaria resistenza sulla roccia e con l'alcol, la tua vita senza compromessi, la tua indipendenza di giudizio. Che hai da dirmi? «E' una combinazione genetica di materiale. Mi
posso limitare a guardare la stupidità umana senza per questo essere
Democratico, Repubblicano, Cristiano o Musulmano. Guardo e penso: ‘Che
ammasso di stupida fottuta stupidità’. Riandando alla mia infanzia,
ricordo di essermene sempre fregato dei pareri saggi. E fortunatamente non
ho mai fatto rapine, bruciato e saccheggiato, anche se mi hanno arrestato
5 volte per guida in stato di ubriachezza. Per parere saggio intendo
qualcuno che viene e ti dice: ‘Oh Warren, questo è tutto sbagliato’. E io
gli rispondo: ‘Oh, veramente? Bene, francamente questo è quello che pensi
tu. Ora mi stai dicendo che hai una soluzione migliore e che io la dovrei
adottare? No, non penso proprio che lo farò.’ In vero non mi è mai
capitato di comportarmi così, ma la mia indole mi porta a dire: ‘Hey
amico, tu fai le tue scalate che io faccio le mie’. Lo sai che dopo la tua morte ti hanno messo anche sull'Enciclopedia Britannica? «E’ una soddisfazione! Me lo sono meritato! Io non
sono mai stato contrario alla pubblicità, che c'è di male
nell'informazione? E poi, mica ho fatto poco. Se penso che, seppure
indirettamente, devo parte della mia notorietà a Royal Robbins, quel
“super ragazzo d'oro”, mi vien quasi da ridere. In Italia sarebbe stato un
Legionario di Cristo o uno di quell'organizzazione che voi chiamate
Comunione e Liberazione. Però dopo quella salita, e poi anche dopo quella alla “Parete della prima luce del mattino”, sei stato sottoposto ad uno spietato fuoco di fila da parte dei puristi dell'arrampicata. Royal Robbins in primis. «Ah! ah! La mia risposta è… ‘che si fottano’.
L'arrampicata è una cosa così dannatamente stupida. La gente moralizza su
di essa, ma la gente, incluso il sottoscritto, fa cose stupide. Perché
istituzionalizzare l'arrampicata? Se fosse come il baseball, la dovrei
istituzionalizzare: fare regole e quant'altro. Ma l'arrampicata non è il
baseball. Anche se a tanta gente piacerebbe che lo fosse. E cos'è questa merda sui chiodi a pressione? Anche se sei Ron Kauk… se c'è una parete
compatta e non puoi piazzare protezioni, metti i chiodi a pressione. Che
cos'è questa fobia? Io guardavo semplicemente quelle pareti e dicevo,
‘Hey, voglio farmi quella grande, incasinata goduria’. E la facevo… Ne ho
fatte un sacco! La “Parete della prima luce del mattino” o Dawn Wall
è stata qualcosa di veramente rivoluzionario. Tu e Dean Caldwell avete
dimostrato che si poteva stare in parete per quasi un mese senza contatto
alcuno con la base! «La Dawn Wall era un grande sogno, una gigantesca
sfida dove la tecnica e l'uomo dovevano fondersi alla pari per produrre un
risultato mai visto. Non ti dico la fatica di recuperare i sacchi nei
primi giorni di salita: come puoi immaginare, insieme all'acqua, e a tutto
il resto, avevo messo un'adeguata scorta di vino e di brandy. Facevamo
circa una lunghezza di corda al giorno e, come in tutte le precedenti
scalate, ho sempre cercato di avere il controllo assoluto di quello che
facevo. Ma dopo giorni e giorni che vivi sulla verticale tendi a perdere
il giudizio e la visione esatta delle cose. Ecco perché ad un certo punto
ho fatto un volo di 15 metri! Ma anche solo perché ero Harding, e perché
quella sarebbe stata la mia ultima grande impresa, non potevo mollare.
Riprendemmo e fummo colti dal maltempo. Restammo per circa 110 ore nelle
nostre amache, inumiditi e tremanti di freddo. I viveri stavano terminando
quando il tempo si rimise. Quei rompiscatole del Parco si sentirono in
dovere di venirci a soccorrere, e cominciarono a portare in cima al Cap,
materiali e uomini. Allora, visto che non c'era altro modo di farmi
capire, scrissi un bigliettino mettendolo in una scatoletta di tonno
vuota, che lanciai in basso. C'era scritto: ‘Un soccorso è ingiustificato,
non è voluto e non sarà accettato.’ Però hai continuato a scalare anche dopo. «Quando la scalata ti entra nel sangue non puoi
mai veramente smettere. Scalare e bere buon vino sono state le mie due più
grandi passioni, e ho cercato di viverle fino in fondo. La seconda mi ha
fregato, e anche quando i medici cercarono di convincermi a smettere per
allungarmi la vita di qualche anno, ho preferito continuare a gustare il
nettare di Bacco. Sono grato a Galen Rowell, che quando venne a trovarmi,
tre giorni prima che morissi, mi fece il più bel regalo: svegliatomi dal
mio stato semi comatoso gli chiesi un bicchiere di vino ed egli molto
gentilmente si sentì in dovere di darmelo… Poi Robbins tentò di ripetere la New Dawn per schiodarla e cancellarne la memoria. «Aaahh! Ma ti rendi conto! Quel pazzo invasato
integralista!!! Lui e tutti quelli come lui possono andarsi a fottere!!!
Ma che cosa pensano? Di avere la verità? Di essere gli unici a poter dire
come devono stare le cose? Però, dopo qualche tiro, anche Royal ha dovuto
convenire che la via era bella ed audace, e ha smesso di togliere i chiodi
a pressione. Insomma, Allen Steck, Robbins, Chouinard, Pratt, Frost e tutta quella banda non ti andava troppo a genio. «Mah! Io ho sempre pensato che non si deve
prendere la vita troppo seriamente, non si deve prendere se stessi troppo
seriamente e non si deve prendere l'arrampicata troppo seriamente. Questi
erano tutti dei bravi ragazzi, convinti di fare qualcosa di veramente
importante per sé, per l'arrampicata e forse anche per l'umanità. Che
schifezze! E allora, per finire, che cosa diresti del tuo stile, della tua filosofia. «Ahhh, ancora con questa fissa della filosofia, ma che diavolo vi prende a tutti? Il mio era semplicemente un sogno, un sogno e una necessità. Sognavo di essere su quelle pareti color ocra, lisce e mostruose; sognavo di fondermi con loro e di uscirne strisciandoci sopra come una lucertola o come un verme. Pareti remote come quella del Monte Watkins o la Sud dell'Half Dome, erano un'immersione nel mondo selvaggio di cui un selvaggio come me aveva probabilmente bisogno. E non per conquistarlo, ma piuttosto per ritrovarsi. Per tornare a casa con la rassicurazione che quello spirito, da qualche parte, esisteva ancora, oltre che dentro di me. Poco m'importava dello stile pulito alla Robbins: le pareti che sceglievo non erano certo delle autostrade e poi, comunque, ho dovuto inventare anche alcune tecniche speciali per evitare un eccessivo uso dei chiodi. Mai sentito parlare del *bat hooking?» Hai qualcos'altro da dirci? «Bah! Direi che il silenzio è forse la cosa di cui
il mondo dell'arrampicata moderna avrebbe più bisogno. Il tranquillo
silenzio alla base della grande parete, fra i pini che sussurrano al
vento, il sole che scalda e un buon bicchiere di vino rosso.
Warren “Batso” Harding ci ha lasciato per cirrosi epatica il 27 febbraio 2002.
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Sondrio,
16 febbraio 2006 © febbraio 2006 intraisass |
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Giuseppe “Popi” Miotti |
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La foto di apertura è stata scattata dall'autore in occasione della ripetizione del Nose. * Tecnica inventata da Harding per evitare di metter troppi chiodi a pressione. Consiste nel praticare un foro di poco più di un centimetro nella roccia e di usarlo come sede per un cliff hanger (gancio appuntito) su qui si appende poi la staffa. In tal modo si risparmia tempo nella chiodatura. Ogni 4,5 o più fori si mette quindi un chiodo a pressione sicuro.
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