Ricordo come fosse
ieri la prima volta che i miei piedi calpestarono quel prato inglese che
s'incontra qualche centinaio di metri prima di arrivare a Malga
Ombretta, al termine della ripida scorciatoia che quel giorno Francesco Marin ci aveva consigliato per risparmiare tempo.
Attraversare quel prato, ogni volta che torno in quel luogo, è come
aprire il cassetto dei ricordi, quelli che risalgono ai “lontani” anni
Ottanta. Era passato poco più di un anno da quando Gabriel Garcia
Márquez aveva scritto quello che per me è il suo capolavoro, libro che
lessi e che mi affascinò a tal punto da ispirare la mia fantasia per i
nomi di alcune vie nuove di Lumignano.
Quel giorno di giugno ero tra l'altro insieme a Giacomo Albiero, che
all'epoca aveva già qualche bell'anno in più rispetto ai nostri venti, e
che ci avrebbe insegnato tante cose... come d'altronde continua a fare
ancora adesso, che di anni ne ha ottanta, con le sue continue
scorribande e presenze memorabili a tutte le edizioni della mitica
Marcialonga, e la sua passione da bambino per la montagna. Pierino Radin
che ha sempre arrampicato con Giacomo e con Renato Casarotto, aveva già
fatto la Vinatzer (in solitaria!) nel 1978 e ci aveva vivamente
consigliato questa via per la sua bellezza e la sua storicità. Con
l'occasione quel giorno conobbi anche Nino e Agnese del Falier che negli
anni a venire saranno sempre gentilissimi e disponibili, qualità
tramandata a Dante e Franca, gestori attuali ma soprattutto amici come
se ne contano sulle dita di mezza mano.

La Cattedrale
(© Beat Kammerlander)
Dopo una notte agitata come capita prima delle grandi avventure, eccoci
all'attacco, alla base di quel rosso camino poco invitante e abbastanza
impegnativo per la roccia scivolosa ed il freddo che accompagna spesso i
primi tiri. Ma la giornata trascorse tranquilla, in una di quelle
salite che mi rimarranno poi nel cuore.
Il dado era tratto; quell'estate e la successiva, oltre a qualche bella
salita in Civetta, al Sass Dla Crusc e altre poche pareti, ci
concentrammo sulla Sud della Regina delle Dolomiti, scalando la Gogna,
Sudtirolesi, ancora Vinatzer ma con uscita Messner,
Tempi Moderni, Don Quixote, Schwalbenschwanz ed un
tentativo al Pilastro degli Elfi terminato con una doppia su
cliff al primo tiro... formidabili quegli austriaci!
Quando salii l'Ideale, nell'estate del 1982, eravamo talmente in
anticipo sul programma che dovemmo attendere il sorgere del sole per
attaccare la via. Come per la Aste al Crozzon optammo per salire
l'originale, che ci impegnò già dal secondo tiro. Le lunghezze di corda
si susseguirono veloci, finché dopo una traversata giungemmo sotto
l'esile cascata che durante il nostro passaggio aumentò di portata, con
aggiunta di acqua (?) e detriti vari, tanto da farci prendere un bello
spavento ed inzupparci maglietta e braghe (all'epoca rigorosamente
bianche e di cotone, dettate dall'onda californiana, quella senza caschetto, capelli lunghi al vento e degli
hexentric dell'11, grossi e
pesanti come campane di vacca, l'epoca in cui vedevamo il Perlotto
scalare con due – ben due – sacchetti di magnesio, uno per la mano
destra e uno per la sinistra!). Dopo quella doccia salimmo ancora
qualche centinaio di metri tanto da vedere ormai da vicino la scatola di
lamiera della funivia. A quel punto provammo l'itinerario originale, ma
il ghiaccio e l'acqua corrente non ci permisero di salire. Tentammo
allora la variante Messner, ma trovammo quel diedro fessura colmo di
olio e grasso , prodotti di scarico della funivia… inscalabile! Cercammo
di forzare l'originale chiodando il tratto ghiacciato, ma avevamo tre
chiodi in due, e quindi non riuscimmo a fare molti metri; prova di qua,
prova di là, alla fine dovemmo bivaccare a 70 metri dalla funivia così
come eravamo vestiti, un mars in due e le scarpe di ginnastica che ci
diedero “respiro” almeno ai piedi. Non fu una delle più belle notti
della mia vita, anche perché verso le 23 iniziò a nevicare, facendoci
pensare seriamente che la nostra avventura non dovesse finire per niente
bene. Per fortuna smise subito, e si alzò un vento gelido che spazzò via
tutte le nuvole, scoprendo un cielo di stelle… una di quelle notti
insomma che ti devi muovere come una vecchia macchina da scrivere per
tenerti un po' caldo
Comunque la mattina successiva scendemmo 150 metri con quei tre chiodi e
prendemmo un canale a sinistra della variante Mariacher che ci permise
di giungere in vetta abbastanza agevolmente alle 10.30, giusti in tempo
per ammirare un gruppo di turisti con scarpe di cuoio e tacchi alti
giunti dal ghiacciaio in funivia. La nostra gioia ed emozione furono
immense, rafforzate da quel quadretto che ci faceva sentire ancora più
“integrati” con la natura rocciosa di quel luogo (eravamo comunque anche
“disintegrati” dalla notte passata a 3200!). Senza contare che per tutta
la via ci erano piombati addosso alcuni scarichi provenienti dalla
funivia (piscio, acqua sporca, forchette in plastica e altri oggetti non
ben identificati) Nino dal Bon, allora gestore del Falier, non troppo
stupito ci riferì in seguito che prima di salire l'Ideale era
meglio avvertire quelli della funivia per evitare l'inconveniente.
Fortunatamente qualche anno dopo Mountain Wilderness con una grande
manifestazione che prese di mira proprio la funivia e con un'azione di
pulitura del ghiaione sottostante la Sud, pose fine (?) a questi
scarichi illegali.
Negli anni a
venire almeno una o due volte all'anno frequentai la Sud,
innamorandomene sempre di più, come ho fatto successivamente di mia
moglie (non so se a lei il paragone vada tanto bene, ma sai come sono
questi alpinisti... pensano solo alla roccia!). Ripetei ancora alcune
vie e presi comunque anche qualche bella “batosta” dovuta alle
condizioni meteo della parete o del sottoscritto (leggi: ... sai quelle
giornate che già dalla mattina ti dici che è meglio andare a farsi una
pastasciutta al Falier!).
Ricordo addirittura la prima volta sul Pesce: all'attacco
trovammo già altre cordate, così salimmo a destra sull'Irreale
fina alla prima cengia, poi sbagliammo il diedro del Pesce
salendo inconsapevolmente un tiro di Fram, per poi “piegare”
nuovamente sul Pesce con un tiro “né Fram, né Pesce”
tutto sprotetto che ci costò un litro e mezzo di adrenalina pura, per
trovarci poi sulla Fortuna, ed a quel punto accorgersi di aver
girovagato per la Sud da destra a sinistra senza imboccarne una, e di
essere proprio in una di quelle giornate menzionate prima... infatti
andammo al Falier per una pastasciutta.
Ci fu poi la parentesi con Renzo Vettori che aprì una via ardita
(suscitando le ingiustificate ire dei forti austriaci che
da dieci anni ne tentavano la salita, credendo così di “appropriarsi” di
quel pezzo di parete) con l'uso di soli chiodi tradizionali e qualche
passo su cliff; il mio merito fu comunque solo quello di fargli da buon
secondo e nulla più.
In un periodo di furioso innamoramento (nei miei confronti) riuscii a
passare una settimana in tenda con la mia futura moglie... risultato: 5
giorni di pioggia ininterrotta, tanto da far galleggiare quasi tutta la
roba che avevamo all'interno, ma che non furono poi così male! (alla
faccia degli alpinisti che pensano solo alla roccia).
Il vagabondare mi
portò a provare la via del Koller dedicata all'amico Feo (Graziano
Maffei). Con il “fradeo” Propoi (Marco dal Zennaro) partimmo per il
primo tiro, ma quando Marco provò a calzare le scarpette, notò con
sorpresa che il piede con cui aveva parato un calcio durante gli
allenamenti di Judo della settimana prima, non poteva sopportare quella
morsa coi lacci; così salì il primo tiro (7a) con una Miura e una Asics
e... pastasciutta al Falier!
La via rimaneva da ripetere e dopo un tentativo in solitaria invernale
durante il quale ci misi 4 ore a fare un tiro a - 25 , tornai con Enrico
Rasia, il quale, reduce dal periodo passato a far prelievi (data la sua
professione di medico) sotto il Colle Sud dell'Everest, era più propenso
a scalare qualche classica. Optammo per una soluzione intermedia, e
così, tra Amico Feo ed una classica, provammo una classica del
Feo. La più vicina alla zona del nostro bivacco era la Cattedrale
che sulla guida non superava il 6° ed aveva qualche passo di A4...
aperta nel lontano 1983; sapevo della grande tecnica artificiale del Feo
e della bravura di Paolo Leoni e Mariano Frizzera, ma mai e poi mai
avrei immaginato di trovare una via del genere, dove il sesto arriva al
6c e l'artificiale ti riempie le braghe di “adrenalina” (eufemismo).