«La forza della letteratura americana è
il modo in cui affronta il rapporto tra territorio e presenza dell'uomo».
Una frase che potrebbe anche lasciare indifferenti, se non fosse che a
pronunciarla nel 1986, alla vigilia della pubblicazione di Arctic
Dreams (“Artico: l'ultimo
paradiso”, che finalmente torna
disponibile in Italia a fine gennaio, dopo quindici anni di assenza dalle
librerie, per Baldini Castoldi Dalai Editore), era uno degli scrittori più
sottili e di talento della letteratura naturalistica moderna. Barry Lopez,
definito alcuni mesi fa da un'intera terza pagina di The Guardian “the
greatest living landscape writer”, è una figura atipica nel panorama
letterario. Un uomo quieto e simile alle creature che vede, descrive e
incorpora nel racconto lungo un'intera vita sul rapporto tra le culture
dell'uomo e il territorio. Un racconto che si sviluppa da oltre trent'anni
e che passa attraverso libri sospesi tra il saggio e una narrazione
affascinante, delicata, in grado di penetrare la materia senza scalfirla e
condurre il lettore in anfratti nascosti e fondamentali della superficie
che esplora. Superficie che spesso Barry Lopez vede scorrere nel McKenzie
River, a pochi passi da casa, in Oregon, dove vive dalla metà degli anni
sessanta.
Nel settembre scorso, Lopez ha tenuto una lecture al Festival Letteratura di
Berlino a partire dal suo ultimo libro, Resistance. Sebbene questo volume
sia una raccolta di finte lettere, illustrate da Alan Magee, nelle quali i
protagonisti sono costretti ad abbandonare le proprie quotidianità, in
realtà il sottotesto non cambia. Ognuno di questi personaggi abbandona il
proprio territorio fisico e culturale e la propria immaginazione deve
compiere un reset che tenga conto dei metodi striscianti delle autorità,
da quando il “nuovo ordine” del controllo sociale è diventata
l'occupazione principale di ogni governo occidentale.
Barry Lopez è uno scrittore americano, dicevamo. E lo è poiché sa guardare
avanti, verso la grande tradizione degli ultimi due secoli, nella quale
trova l'antenna che trasmette nell'oggi i principi di una terra, come il
continente nordamericano, ancora giovane e dall'orizzonte spesso libero.
Lopez non scrive mai a tesi, in questi casi: la sua meta è il procedere
stesso della scoperta, il suo mezzo di trasporto uno stile unico e
straordinariamente fluido: «Quando scrivo opere di grande respiro come
Lupi (edito da Piemme nel 1999) oppure Artico, sicuramente ho un piano.
Però in genere tendo a raccogliere molto materiale senza imporvi alcuna
struttura sino alle fasi finali della ricerca. A quel punto inizio a
capire quali sono le cose alle quali non darò seguito; ma inizio anche a
comprendere quali elementi devo scrutare meglio, poiché mentre si delinea
la struttura, queste sono le cose che avranno un ruolo importante.
Nei primi anni '70 avevo molte domande irrisolte a proposito degli animali.
Qual è il nostro rapporto con loro? Come immaginiamo noi, gli animali?
Capii che se avessi puntato a un solo animale, il lupo, avrei potuto
esplorare sistematicamente queste domande, come un apprendista». Lupi (il
titolo originale sarebbe “Uomini e lupi”) è un volume stupefacente. E' la
storia dell'umanità attraverso il rapporto tra l'uomo e il lupo. E la sua
attualità è quasi sconvolgente, anche nella parte finale dove si passa
alle considerazioni di tipo economico. Un volume stupefacente per
l'originalità del postulato, e cioè, che non può esistere alcun postulato
quando si osserva il mondo naturale.
Essendo prevalentemente scrittura di “prospettiva” e “angolatura”, Lopez
ha penetrato luoghi della mente e dell'immaginazione che sono universali.
Scrivendo Lupi, mi raccontava alcuni anni fa «era fondamentale parlare di
come questo animale era visto dai popoli nativi. Facendo questo la mia
intenzione era di condurre il lettore a porre questioni che la scienza non
aveva saputo risolvere, dandoci solo una visione parziale di questo
animale che noi chiamiamo lupo». Il metodo Lopez è proprio questo e vale
per ogni suo libro. Mi incuriosiva capire come uno scrittore arrivi a
occuparsi di questa
strettissima relazione tra territorio e cultura, partendo da luoghi remoti
della geografia fisica, animale e intellettuale. E Lopez lo spiega bene
quando mi parla di Artico: «In un certo senso questo fu un libro simile.
Nell'Artico ci ero stato la prima volta nel 1976 e proprio per studiare i
lupi sul campo con alcuni scienziati e poi incontrare i Nunamiut, i nativi
del Brooks Range. In Alaska mi accorsi che nonostante iI mio focus fosse
rivolto al lupo, c'era una quantità di cose incredibili che accadevano».
Questo è il momento in cui entra in gioco il meccanismo prospettico,
poiché fu durante quel viaggio che Lopez elaborò un modus operandi
letterario nuovo, che avrebbe visto la luce solo dieci anni dopo.
«Cominciai a pensare che c'erano troppe cose che consideravo in modo
astratto. E riguardavano tutte il nostro rapporto, come popoli, rispetto
al paesaggio, al territorio che occupiamo. Insomma, mi chiesi, come
immaginiamo noi la totalità del territorio. L'Artico, in questo senso, era
perfetto per esplorare un tema su larga scala come quello».
Barry Lopez dedicò gran parte del suo tempo, nei nove anni seguenti, al
lavoro sul campo e lo fece «cercando di non organizzare il materiale,
proprio per non perdermi delle cose che in seguito si sarebbero potute
dimostrare molto utili. Il vero soggetto di Arctic dreams, è probabilmente
la relazione tra paesaggio/territorio e immaginazione; come noi vediamo I
luoghi che occupiamo; che è un libro sull'Artico, ma per un lettore
italiano, australiano, egiziano, i temi affrontati valgono per ogni
spazio. Se Of Wolves and Men è un libro sulla tolleranza verso il lupo e
verso chi non la pensa come noi, è anche uno studio sul pregiudizio
secondo il quale un certo tipo di conoscenza è superiore alle altre. Non
ero partito per dire questo, ma l'ho detto. Allo stesso modo, Artic Dreams
non credo che all'inizio avrei potuto descrivertelo come un libro che si
sarebbe occupato del rapporto che l'immaginazione ha con lo spazio
territoriale.
Da allora, Lopez segue due linee guida fondamentali. I libri di racconti e
parabole (Desert Notes, River Notes, Field Notes, Winter Count,
Resistance)
e le opere di ampio respiro già citate, i cui temi tornano nelle raccolte
di saggi Crossing Open Ground (“Attraverso lo spazio aperto”) e
About this life: journeys on the
threshold of memory (“Di questa vita: viaggi sulla soglia della memoria”).
Artico, tra pochi mesi , compirà vent'anni e il suo diapason risuona
discreto a una distanza non decifrabile. Personalmente mi ha aiutato a
focalizzare il rapporto con la mia cultura e i miei territori. Un vero
ground zero del mio orizzonte dinamico.
Osservando gli impercettibili mutamenti del territorio-natura per meglio
definire gli sfuggenti contorni del territorio-uomo, l'importanza
dell'opera di Barry Lopez è chiaro. Nella circolarità e nel ricorrere dei
temi, lo scrittore non vive il mondo come altro da sé, ma come contenitore
del proprio essere che si compie in una poetica senza tempo. In questa
eredità, guardando avanti e vedendo indietro, Lopez ha creato un genere a
sé, che gli anglosassoni definiscono “landscape writing”. L'articolo del
prestigioso quotidiano inglese The Guardian, è indiretta dimostrazione
della diversità tra il nostro modo mediterraneo e quello degli
schieramenti che riducono a slogan la natura. Il capolavoro di Lopez, che
si potrebbe anche intitolare Artico o del Territorio, rappresenta
un'ipoteca di pensiero per un reale sviluppo del terreno dove giocare la
sopravvivenza dell'immaginazione.
Quando Lopez viaggia tra gli affascinanti strati percepibili al tatto
dell'occhio e dell'anima, la mente si meraviglia per le descrizioni e le
osservazioni folgoranti, seguite da circostanze approfondite. In “The
Naturalist”, pubblicato in Vintage Lopez (Vintage Books, 2004) non sfugge
una nota biografica: «Quasi ogni giorno scendo al fiume con l'unica
intenzione di sedermi e di osservare. Guardo il fiume da trent'anni. Se
c'è una cosa che ho imparato, stando lì, è che ogni volta ci sarà qualcosa
che ancora non conosco che si rivelerà». Un suggerimento a chi orienta le
scelte collettive, verso una comprensione più vasta e ampia di ciò che
circonda l'uomo.
Artico porta la scrittura su terreni poco battuti ma essenziali, verso
frontiere possibili: osservare una specie per un dato periodo di tempo non
può fornire le verità assolute che crediamo di possedere. E lo stesso vale
per la cultura: «Questo animale, quella volta, ha fatto quelle cose in
quel luogo. Questo è l'approccio alla natura che molte popolazioni native,
ancora oggi, assumono. Per il sapere, verso il quale siamo sempre in
cammino, la visione suggerisce un orizzonte piuttosto che una linea di
confine».
Nell'emozionante Resistance c'è la sua lotta contro il brutale ritorno a
regole medioevali uscito allo scoperto dopo l'11 settembre:
«La guerra è un appetito, è la ragione stessa del proprio essere», scrive Bo Ling in una lettera. E in “Apocalypse”, il protagonista Owen Daniels
lasciando Parigi scrive: «E' la sonnolenza la grande sordità che svela i
nostri problemi. E' l'analfabetismo. E' l'appetito per la distrazione, che
è divenuta pietra angolare nella vita della nostra nazione. Nella
distrazione si incontra il sordo. Nella distrazione pura, si scopre il
rifugio dell'analfabetismo». In Resistance, scritto in tempo per la
campagna anti-Bush del 2004, la stanchezza di una visione possibile
affiora in personaggi che sembrano uscire dalla vita, senza morire
fisicamente ma lasciando grossi interrogativi sul proprio avvenire in
questo mondo. “Apologia”, da About This Life, racconta un semplice viaggio
in auto in cui l'autore si dirige da amici lontani, uno spostamento che
induce alla riflessione sul massacro di tanti animali morti ai bordi della
strada; con una capacità di vedere sempre la “terza dimensione”, sulla
soglia di casa degli amici arriva una liberazione tra triste malinconia e
calore umano: «Ogni animale è come la scarpa di un bambino abbandonata per
strada. Una volta mi hanno chiesto, ma perché ti preoccupi? Non si sa mai,
dissi io. Coloro ai quali dai una sembianza di sepoltura, coloro ai quali
offri una scusa, potrebbero essere stati dei veggenti in una cultura
parallela. E' un atto di rispetto, una tecnica di consapevolezza».
Come pensare alla sopravvivenza dell'uomo-uomo per fermare l'affermazione
di una cultura dell'uomo “riciclabile”: «Come deve immaginare, il
naturalista di oggi, il luogo tra la natura e la cultura? Come deve agire
se, come in tanti ritengono, la civiltà occidentale sta compromettendo la
propria biologia investendo tanto pesantemente nel progresso materiale?»: Lopez spezza l'indugio quando afferma che
«la questione comportamentale è
snervante, perché direttamente legata a due aree di particolare disagio
per i naturalisti: una è come separare il tema della spiritualità,
tenendolo libero da esso, dal commento religioso; l'altra è come gestire
il dolore emotivo e l'indignazione morale in obiettivi così strettamente
legati alla scienza, e alla sua storica affermazione di obiettività».
Insomma temi pesanti, profondi, olistici. Temi che non sono lontani, per
fare un esempio su mille, dalla recente debacle del referendum sulla
fecondazione assistita e della discussione creata ad hoc per confonderci
più che per farci camminare verso il conoscere, a proposito della natura
stessa del nostro essere sia spirituale che biologico: «Non riesco a
sondare il fardello che desidero lasciar cadere, un dispiacere per il cupo
mondo famelico».
